Paola Oña, artista boliviana nata e vissuta a Sucre (piccola cittadina della Bolivia sede del Teatro de Los Andes), diviene attrice di Cesar Brie due anni fa, unendosi al gruppo nel progetto di creazione artistica che avrebbe portato alla nascita de “L’Odissea”, ultima fatica del regista argentino e della sua equipe di lavoro. Quest’ultima pièce ha visto nel 2009 una tournée primaverile della durata di un mese in Italia, mentre in questi mesi sta debuttando in Spagna, Francia e Germania.
Ne “L’Odissea”, Paola interpreta con estrema sensibilità diversi ruoli: Afrodite, Euriclea, Sara, una delle vacche del Sole, una funzionaria, e naturalmente, un emigrante. Perché l’odissea di Cesa Brie altro non è che questo: un naufragio lungo come una vita intera.
Come hai cominciato a fare teatro, e quale percorso ti ha portato ad unirti a questo gruppo?
Nel 2001 iniziai a far teatro con un gruppo di Sucre, chiamato “Teatro la cueva”, con cui abbiamo lavorato per sei anni, montando tre spettacoli. Così abbiamo conosciuto Cesar e il Teatro de los Andes, che sempre sono stati un’ispirazione e anche un grande appoggio per il nostro lavoro. Così, nel 2007 io volevo andare a Santa Cruz a studiare ad una scuola di teatro, però Cesar mi disse che avrebbe fatto un seminario di 15 giorni, e per questo ho deciso di provare e di venire a Yotala. Feci il seminario di gennaio, e anche di febbraio. Tornai al seminario invernale di giugno, e rimasi fino a settembre. L’anno seguente ci invitarono a partecipare alla scuola intermittente che avevano creato nel teatro, e a far parte dell’Odiessea insieme ad altri quattro alunni.
Com’è stato il primo approccio col testo de L’Odissea?
Per iniziare il seminario avevo dovuto leggere il testo omerico, e dopo imparare una pezzo di un personaggio a scelta. Inizia a rendermi conto, così, che l’Odissea non solo trattava del viaggio di Ulisse e della tela di Penelope, ma anche di un mondo sotterraneo legato a ogni personaggio; per esempio iniziarono a interessarmi alcuni personaggi come Calipso. Inoltre l’Odissea si mmescolò molto con la nostra vita personale, la nostra propria odissea, speranze, amori, famiglia. E diventò un testo più particolare.
È stimoltante andare a teatro pensando di vedere la ripresa di un precedente spettacolo, e notare come la ricerca al suo interno non si sia esaurita dall’ultima messa in scena, ma continui a dargli spessore. Infatti, sono presenti modifiche rispetto alla scena dei pretendenti, al finale …Forse che l’approccio teatrale del vostro gruppo porta a non poter mai delineare i confini definitivi dei vostri lavori, come fossero semplici tappe di una ricerca artistica?
Penso che tanto nello spettacolo che nel testo, ci sono molti dettagli e per questo il tutto è complicato; inoltre alcune parti dell’opera furono lavorate meno che altre. La nostra modalità di lavoro avvalora una ricerca continua, il continuo cercare un’altra forma, ad esempio un altro finale, tanto per Cesar quanto per noi attori. Però sempre si cerca di asciugare il testo, le azioni, compattarlo, affinchè sia più facile far arrivare il suo messaggio al pubblico.
Per la messa in scena de L’Odissea, un gruppo di cinque nuovi alunni sono stati scelti per portare – come Cesar stesso dice – nuova curiosità, entusiasmo, energia. Com’è stata la gestione del tuo ingresso in un gruppo così eterogeneo, e l’inserimento in una sorta di piccola comunità?
Le relazioni artistiche del gruppo le ho vissute in manira basica con i miei vecchi compagni di teatro, e da qui avevo compreso i problemi che potevano sorgere lavorando insieme a qualcuno. Vivere nel Teatro de los Andes ha significato per me un salto di qualità artistica, non solo perchè conviviamo e lavoriamo nella stesso luogo, ma anche perchè penso di aver imparato certi valori di etica professionale insieme ai miei compagni. Penso che era fondamentale capire che qui eravamo per imparare, e anche per dar il meglio di noi. Considero che i vecchi membri del teatro, Alice, Gonzalo, Lucas, Daniel e Cesar, sono i miei maestri; e per questo esiste una relazione in primo luogo di rispetto e sincerità, e dopo di amicizia fuori dal lavoro.
Nel vostro gruppo pare non esistera una vera distinzione tra attori, tecnici, costumisti… ognuno si occupa di ciò che è necessario al momento. Come ti trovi con questo percorso totalizzante all’interno della creazione artistica?
Credo che qui questo è molto importante, per esempio Gonzalo è il protagonista ed è anche lo scenografo e l’incarica di caricare l’auto della touneè. Credo che sia necessario riconoscere il fatto che tutti devon far tutto, come un’ammissione di umiltà nel lavoro. In particolare, sono molto interessata alla parte dei costumi: nell’Odissea ho partecipato con idee e lavoro, e questo mi ha fatto crescere molto e farmi rendere conto di alcuni modi di fare i custumi, trucchi teatrali, etc.. soprattutto, questo mi ha dato un insegnamento pratico e concreto.
In quest’opera ti trovi ad affrontare parti comiche, quanto tragiche. Cosa pensi dell’equilibrio su cui si gioca L’Odissea? Che ruolo ha il grottesco in questa messa in scena?
Per me il tragico e il comico son sempre l’uno nella mano dell’altro, e penso che la giustapposizione di entrambi crei una bellezza a volte poco esplorata in teatro. A molti può apparire più facile avere una parte comica in un racconto epico come questo, e per me questo è fondamentale. E chissà se pè per questo che il nostro lavoro mi piace, e sento che rifletta motlo il grottesco di tutti coloro che l’han creato.
Secondo te, a quale esigenza necessaria risponde il vostro teatro oggi?
Penso che tutte le opere del Teatro de los Andes rispondono a una necessità sociale, a volte politica, e questa opera non è un’eccezione. Parlare dgli emigranti, del viaggio, dell’ospitalità sono tematiche molto attuali in tutta l’america latina, e in Bolivia soprattutto. Però, parlare della nostra personale e avolte, intima odissea diventa una necessità individuale di comunicare.
Un’opera che tratta di problematiche sociali inevitabilmente vede un forte legame rispetto al contesto in cui viene generata; tuttavia, può mantenere il suo significato – e a volte acquisirne di nuovi – anche in altri Paesi.Hai notato differenze nella ricezione di questa creazione artistica in Europa rispetto al Sud America?
Si, assolutamente. In Bolivia lo spettatore riconosce in Ulisse e Penelope un parente immigrato o un amico o se stesso, e questo muove emozioni più intime. La scena di Menelao è considerata fantastica in Bolivia. Quel che fu in Europa è che alcune scene furono sottovalutate, e per questo abbiamo dovuto fare cambi di ritmo proprio in questi punti del testo. È possibile che il pubblico in Europa non si riconosca tanto come in America latina, però può apprezzare maggiormente l’estetica dell’opera.
Perchè in Sud America si ha come l’impressione che l’ambito artisto sia più attento allle problematiche sociali?
Penso che la qualità di vita, la situazione familiare, ed economica qui sia più dura, e questo porta a necessitare una forma di comunicare con bellezza questi problemi. Non è che in Europa tutto sia meraviglioso, però credo che qui la situazione sia peggiore.
Dove ti piacerebbe portare questo spettacolo?
Mi piacerebbe viaggiare con questio spettacolo in Bolivia, non solo nella città principali ma anche nelle provincie. Per me è molto bello viaggiare fuori dal mio paese, però sento la necessità di confrontare il mio lavoro con la mia terra.
Progetti per il futuro
Ho molta voglia di continuare studiando teatro, e soprattutto interessarmi maggiormente alla drammaturgia. Spero di incontrare un cammino non molto lontano, in un futuro inmediato.
Quale consigli ti sentiresti di dare a chi vorrebbe intraprendere questa professione?
Non importa l’estetica, il tipo di teatro che si fa, se con questo non convive un’etica professionale di lavoro, con i tuoi compagni di lavoro, con se