“La parte migliore dell’ubriacarsi è che dopo mamma si prende cura di te” è la rivelatoria sentenza con cui si apre quest’episodio di Sharp objects, il penultimo; ora manca solo l’ultimo atto, la prossima settimana. Dopo quella che forse è stata la puntata che meglio ha espresso la natura ambivalente della miniserie intera, questo settimo capitolo si trova dinanzi al non semplice compito di predisporre i pezzi rimasti sulla scacchiera per preparaci tutti al gran finale. E ci riesce, però, solo in parte, molto in parte. Vediamo perché.
Il punto della situazione
La folle serata della due sorelle si conclude nel più classico dei modi, cioè con la madre che ha messo a letto e si prende cura di entrambe, nell’ennesima torrida mattinata che eccezionalmente però diventa all’improvviso il giorno, quando la polizia, stanca di ciondolare e dover affrontare le conseguenze burocratiche di un caso ancora aperto, decide su due piedi che John Keen è il colpevole dei due omicidi. Presagendo il calvario che lo attende, questi scappa per farsi l’ultimo bicchiere prima che gli crolli il mondo addosso, finendo per incontrare per caso Camille ed entrarci per una volta in sintonia. L’indagine parallela di Willis intanto rivela che Adora soffre della sindrome di Münchhausen per procura, ma il detective decide lo stesso di informare Camille nonostante l’abbia appena sorpresa nuda nel luogo dove è è stato arrestano Keene.
La miniserie
Per una volta sembra che quindi ci sia parecchia carne al fuoco, e infatti il registro che finora ha connotato la serie passa in secondo piano, senza saltare di dissolvenza in dissolvenza tra passato e presente preferendo piuttosto un‘impostazione estremamente statica, lasciando il grosso del lavoro all’interpretazione dei singoli. Singoli che ormai sono ben delineati, visto che come prevedibile tutto si colloca seguendo lo schema del triangolo familiare, ponendo Camille, Amma e Adora in situazioni egualmente distanti fra loro, mentre tutti gli altri si appiattiscono sullo sfondo. Fattore in parte positivo – di Ashleigh e John non se ne poteva più – e in parte negativo, nel momento in cui personaggi come Jackie adempiono alla loro funzione narrativa e vengono buttati subito dopo. L’ultimo caso citato è particolarmente deludente perché sembrava – si è insistito molto su quell’aspetto – che dovesse esserci qualcosa in più, mentre alla fin fine tutto di disperde nell’aria come fumo. Jackie era informata della diagnosi di Adora, ma la sua consapevolezza è utile soltanto in fase di definizione del personaggio di Amy Adams (che proprio oggi spegne quarantaquattro candeline, auguri e in bocca al lupo, specie per i prossimi ruoli). Però siccome il lavoro sui personaggi è tutto fuorché il punto forte di Sharp objects ne risulta un nulla di fatto.
Sul versante opposto anche la scelta tecnica di rifugiarsi dietro l’espediente della malattia invece ha mostrato una certa faciloneria in quello che doveva essere il punto di svolta della miniserie stessa. L’esito di un complesso sistema di relazioni di causa ed effetto nel modus cogendi di Adora è sostituito, per evitare l’imbarazzo di costruire delle dinamiche caratteriali che non sfocino nello psicologismo più puerile, da un disturbo psichiatrico ex machina con lo scopo di giustificare ogni cosa. Banale. Camille in seguito a questa rivelazione si convincerà della colpevolezza della madre nei due omicidi, così come di quello di Marian decenni prima, toccando così il punto più basso dell’intera serie. Tutto ciò è inutile, primo perché svilisce ruvidamente i vari flashback alternati alla narrazione principale, quasi come se fosse necessario dopo tanta fumosa chiccheria fornire uno scopo concreto a una figura che viene citata così tante volte da saturarne lo stesso nome solo in questa puntata (neanche ci fosse stato il rischio concreto di una sincera dimenticanza), secondo perché oramai anche lo spettatore più rimbambito, se non ben due episodi fa, almeno dopo le esternazioni post-sbronza di Amma, ha capito che è quest’ultima la responsabile degli assassini delle coetanee, mossa da una gelosia patologica scaturita dalle attenzioni che la madre dedicava alle altre ragazzine “irrecuperabili”, di cui a Camille oramai hanno parlato pure i maiali dell’allevamento – sul serio, tanta rozza insistenza è cosa rara.
Se Adora quindi tiene sotto controllo Amma con degli intrugli nocivi spacciati dalla prima come medicine, e probabilmente è stata la causa diretta con essi della morte di Marian non sapendo dosare le parti correttamente, Camille, al vertice opposto, le è così invisa perché, da brava ribelle inadatta a Wind Gap, rifiutava di prestarsi alle sue cure. Il momento che la giornalista condivide con John è sì melenso ma consiste di fatto nell’unica porzione interessante di puntata, codificando due anime affini nel loro essere inadeguate alla propria vita. Da un lato Camille ha tagliato il cordone ombelicale, nell’accezione più letterale possibile, ed è fuggita verso orizzonti ignoti, dall’altro John Keene, che “nonostante sia un uomo continua a piangere per la sorella” e per questo viene bollato come estraneo dalla comunità in virtù del fatto che ne rifiuta i valori: la vera sottigliezza sta proprio nell’essere indicato come colpevole perché percepito alieno da parte dell’inconscio collettivo di quanti lo circondano.
In soldoni, quella casa delle bambole di Amma per cui ella è palesemente matura si presta a un altro perfetto paragone: non sappiamo a che target miri HBO con serie come questa, ma lo spettatore medio è decisamente cresciuto per questo genere di cose. Sharp objects può aggiungere la caratteristica “infantile” alla lista dei suoi difetti, una lista che mai avremmo immaginato, alle porte dell’episodio conclusivo, così lunga, soprattutto all luce delle condizioni iniziali. Una prece. Falling potrebbe essere veramente la decisiva caduta della serie nella sua totalità, e non solo della sua narrazione.