Issa (Salim Daw, Tel Aviv on Fire) è un pescatore di Gaza di 60 anni, vive con la sorella e vende al mercato il pesce che riesce a pescare. Si vanta con un amico, proprietario di un emporio, di essere stato un gran conquistare da giovane. E ora ha deciso di sposarsi. O meglio, di fare una proposta a Siham (Hiam Abbas, Il giardino dei limoni, Succession) sarta che ha un negozio di abbigliamento, di cui si è innamorato.
Issa, già impacciato di suo, vede il destino accanirsi su di lui con qualche “scherzaccio”, come se vivere a Gaza non fosse già abbastanza difficile (blackout continui, bombe sullo sfondo lanciate dall’esercito israeliano e i giovani palestinesi che vogliono andare via).
Durante una delle sue uscite in mare notturne per pescare, con la rete, tira a bordo una statua virile del dio Apollo. Pensa bene di tenerla con sé, ma non ha fatto i conti le autorità della zona… Insomma tra lui e la dolce Siham si mettono in mezzo una statua, la polizia e un paese occupato.
I 32nni (nati nel 1988, un anno dopo la chiusura di tutti i cinema di Gaza) registi palestinesi (da qualche anno vivono a Parigi), Tarzan (Ahmad Abou) e Arab (Mohammed Abou) Nasser (è stato il padre, insegnante, a dare loro questi soprannomi) scrivono e dirigono una deliziosa tragicommedia con echi surreali che un po’ ricordano Kaurismäki e un po’ ricordano Suleiman.
“Il cinema si può fare a Gaza, ma non è cinema libero. Perché non lo è la situazione politica. E a Gaza non ci sono gli strumenti che ci servono: videocamere, luci, l’elettricità non è regolare. Non ci sono troupe professionali e le autorizzazioni sono difficili da ottenere. Si possono fare solo cose emergenziali: alla fine abbiamo deciso di andarcene perché i problemi sono troppi. Prima di arrivare in Francia siamo rimasti bloccati in Giordania per 4 anni e mezzo. Lì abbiamo girato il nostro secondo cortometraggio” (intervista rilasciata a Io Donna).
Gaza Mon Amour ha avuto una luna gestazione, girato in Cisgiordania e in Portogallo, dedicato al loro padre, è il secondo lungometraggio, dopo Dégradé (2015), di fratelli Nasser.
Con un linguaggio lineare e semplice (spicca la fotografia granulosa di di Christophe Graillot) trovano il tempo di denunciare un sistema politico disinteressato al popolo.
È un film profondamente romantico con tinte tenere e malinconiche.
È una storia politica (parlare di Gaza al cinema equivale a fare politica) che osserva con occhi buffi una realtà assurda.