Girato in Kurdistan, Siria e Iraq, zone dove le conseguenze della guerra scandiscono i giorni e decidono il futuro delle popolazioni, Notturno è il nuovo intenso, non facile, documentario di Gianfranco Rosi (che ne ha curato anche la splendida fotografia).

Notturno racconta la guerra attraverso “le persone che tentano di ricucire le loro esistenze”, mostra la guerra attraverso “la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall’inferno”, insegue la guerra dove si interrompono “i titoloni” della grande informazione.
Del resto Rosi ci ha abituati al suo approccio stilistico creativo, distaccato dai codici narrativi consueti, dove il rigore visivo disegna il suo mestiere di cinema.

Notturno è, quindi, una lettura – o lettera di viaggio – suggestiva e ambiziosa di una realtà che va oltre la guerra, ma guarda in faccia i popoli e osserva i loro gesti. Con un linguaggio di immagini ermetico (qui forse la parte più difficile da accogliere) e con una riflessione concreta, Rosi non traccia confini: non ci sono differenze etniche, (non comparirà nessuna scritta in sovrimpressione per indicare un punto geografico) tra chi subisce una guerra o una dittatura.

Notturno è un grido di dolore espresso attraverso immagini stupende e struggenti, dove il regista alterna: inquadrature di paesaggi, finemente ricercate – dove la notte è sempre spinta in là dai bagliori di qualche bombardamento – di donne – madri curde – bambini – che racconta la loro esperienza durante il rapimento dell’Isis – di un uomo – che prega per le strade durante la notte – di soldatesse – che hanno smontato la guardia – di pazienti di un istituto di cura – che mettono in scena uno spettacolo per raccontare quello che hanno vissuto – di un adolescente – che mantiene la famiglia – un cacciatore – che si avventura su fiumi per cacciare.

Notturno non mostra la guerra al fronte, ma il frastuono o il rimbombo delle sue conseguenze.