Entriamo nella settimana conclusiva della FREESPACE – 16. Mostra Internazionale di Architettura – a cura di Yvonne Farrell e Shelley McNamara.
Proviamo brevemente a ritornare a quelli che sono stati alcuni degli aspetti che hanno ispirato le curatrici e le loro scelte nell’organizzazione della mostra e dei partecipanti.

Si è voluta connotare come una Biennale dal forte carattere didattico e sociale, rivolta ad addetti ai lavori e non, con l’intenzione di concentrare l’attenzione dei visitatori su materiali fondamentali del progetto ma che molto spesso non vengono percepiti come tali dai fruitori finali: gravità, luce, spazio, l’effetto della riflessione sull’acqua…
L’oggetto dell’indagine, in cui tali aspetti convergono, è lo “spazio libero”, quello a disposizione di tutti, che dà forma allo spazio attorno all’edificio e quindi alla città stessa. Uno “spazio libero che è una dimensione visiva. Visivo ma fisico” ed in quanto tale influenza la vita di tutti ed impone una grande responsabilità per gli attori coinvolti nel processo.

Data la dimensione dell’esposizione e la libertà lasciata dalle curatrici ai partecipanti, le risposte pervenute sono molteplici così come i livelli di lettura che si possono dare e cogliere. Se vogliamo leggere questa Biennale alla luce del fattore tempo, altro materiale fondamentale del progetto secondo Farrell e McNamara, di sicuro il riscontro che se ne può dare è positivo.
“Freespace”, molto più di altre edizioni, è stata in grado di reggere la durata dell’esposizione e non stiamo parlando di un mero fattore materiale che pur non è scontato in questo tipo di manifestazione. Molti degli allestimenti presupponevano e presuppongono l’interazione da parte del pubblico: visitare la Biennale ora significa vederne i risultati e comprenderne le reazioni. Un esempio su tutti è il padiglione francese che visitato all’inizio della manifestazione di certo mancava di una cospicua sezione resa possibile dal contributo dei visitatori.

Altro interessante riscontro dell’azione del tempo si ha nelle dieci cappelle nell’area alberata
sull’isola di San Giorgio che compongono il Padiglione della Santa Sede. Tempo come agente che trasforma, plasma e vivifica e come elemento di riflessione sul futuro di questi manufatti, elementi di trasformazione dello spazio e del luogo quale effetto del costruito.
Nella speranza che la loro apertura al pubblico si protragga oltre la chiusura della Biennale vale la pena approfittare di questi ultimi giorni per la visita: sono un buon compendio di quanto “Freespace” intendesse essere.