È il freddo capodanno del 1856, ma c’è poco da festeggiare. La contea di Onondaga, a nord dello stato di New York, è spazzata dai venti gelidi provenienti dal Lago Ontario. Soli tra i colli innevati, Abigail (Katherine Waterston) e Dyer (Casey Affleck) resistono. Sopravvivono. Non possono fare molto altro, provati dalla morte della loro bimba e dalle fatiche della fattoria da mandare avanti.

Sono congelati, isolati, chiusi in se stessi, inchiodati a un’incomunicabilità forse naturale per Dyer, ma drammatica per la curiosa Abigail. Le cose cambiano quando una giovane coppia senza figli, Tallie (Vanessa Kirby) e Finney (Christopher Abbott), si trasferisce vicino a loro. L’affinità tra le due giovani donne porterà nuova vita nella vallata prima di scontrarsi con la cruda realtà dell’epoca.

Tradisce fortemente l’origine letteraria l’ultimo lavoro della regista norvegese Mona Fastvold, già sceneggiatrice con il compagno Bradley Corbet dei cupi e originali L’infanzia di un capo e Vox Lux, entrambi presentati in prima mondiale negli scorsi anni alla Mostra del Cinema di Venezia. Galeotto infatti è stato il racconto omonimo The World to Come dello scrittore americano Jim Shepard (pubblicato in Italia da Bompiani in una raccolta dal titolo Il mondo che verrà) di cui la regista si è innamorata.

Ma dalla pagina al grande schermo, questa dirompente storia d’amore perde il suo nucleo emozionale. La struttura diaristica, sostenuta da una voce fuori campo insistente e didascalica, non aiuta. La passione, il dubbio, il dolore vengono soffocati da pensieri espliciti e ridondanti (e dalle velleità letterarie) che spiegano invece di raccontare, descrivono invece di evocare. A fare da contraltare a questa verbosità off, troviamo le radicali scelte fotografiche (pellicola e luce naturale) che sottolineano, questa volta sì magnificamente, l’ambiente ostile, l’alternarsi immutabile delle stagioni e l’insignificanza delle vicende umane rispetto alla Natura di cui facciamo comunque parte.

Le scene tra Abigail e Tallie funzionano grazie alla chimica tra le due brave protagoniste, anche se forse il personaggio con l’evoluzione più interessante è quello di Dyer, marito consumato dalle responsabilità ma che in fondo si rivela allo stesso tempo empatico – per quanto possibile all’epoca – e non inaridito dalle circostanze. Distratti dal fascino pittorico delle ruvide inquadrature, si fatica a respirare la tensione dei sentimenti negati, delle passioni irrefrenabili, dell’amore completo e impossibile, di cui avevamo goduto attraverso la potenza emozionale dell’esplosivo e imperdibile Ritratto della giovane in fiamme.