Non è una novità che una giuria di un festival di cinema riservi sorprese e lasci il pubblico perplesso e a volte deluso. Non pare che la mancanza di spettatori in presenza, come avvenuto per quest’anno alla Berlinale, sia una possibile causa di tali giudizi. Infatti anche in passato i film premiati incontravano solo a fasi alterne il favore anche del pubblico, benché gli spettatori fossero stati presenti sempre. Qualche esempio dalle edizione precedenti: il film iraniano There is no evil di Mohammad Rasoulof, vincitore dell’edizione 2020, aveva mietuto entusiasmi concordi sia dalla critica sia dal pubblico, mentre avevano lasciato alquanto freddi la scelta di Synonime di Nadav Lapid nel 2019 e di Touch me not di Adina Pintilie nel 2018. Al contrario, andando a ritroso, era stato emozionante il Taxi Tehran di Jafar Panahi vittorioso nel 2015 e come non menzionare il meravigliosi vincitori italiani Fuocoammare di Gianfranco Rosi nel 2016 e Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani nel 2012.

Dunque non ci si deve stupire che l’edizione 2021 senza pubblico in sala abbia assegnato il prestigioso Orso d’Oro al romeno Radu Jude per il film “Babardeală cu bucluc sau porno balamuc” (Bad Luck Banging or Loony Porn). Il giudizio della giuria recita: “…un film che ha la rara ed essenziale qualità di un opera d’arte duratura. Esso cattura sullo schermo il reale contenuto e l’essenza; lo spirito e il corpo, i valori e la carne nuda del nostro presente. Proprio di questo momento dell’esistenza umana. E lo fa provocando lo spirito del nostro tempo, schiaffeggiandolo, sfidandolo a duello. E con ciò, sfida anche il momento del presente del cinema, scuotendo, con il movimento di cinepresa stesso, le nostre convenzioni sociale e filmiche. È un film abilmente realizzato ma nel contempo è sfrenato, intelligente e infantile, geometrico e vibrante, impreciso nel senso migliore. Cattura lo spettatore, provoca disaccordo, ma non consente a nessuno di tenersi a distanza di sicurezza”.
Sarebbe interessante capire quanti spettatori, assistendo a questo film, ci troveranno i valori espressi in tale giudizio. Effettivamente sì, su qualche punto si può in parte concordare. Forse la miglior definizione, tuttavia, resta “provocatorio”.
Ma rimane il dubbio sulla “opera d’arte”.

La giuria internazionale, composta dal regista iraniano Mohammad Rasoulof, dall’israeliano Nadav Lapid, dalla romena Adina Pintilie, dall’ungherese Ildikó Enyedi, dalla bosniaca Jasmila Zbanic e dall’italiano Gianfranco Rosi – tutti vincitori delle passate edizioni – ha inoltre assegnato gli Orsi d’argento, ossia i secondi premi.
Pienamente d’accordo sul premio per la miglior interpretazione protagonista all’attrice Maren Eggert in Ich bin dein Mensch (I’m Your Man) di Maria Schrader. Una interessante sottolineatura: per la prima volta il premio è “gender-neutral” con l’eliminazione delle categorie miglior attrice e migliore attore.

Altro Orso d’argento a “Guzen to sozo” (Wheel of Fortune and Fantasy) del giapponese Ryusuke Hamaguchi. Anche qui, un giudizio alquanto astratto, inafferrabile: “Al punto nel quale dialoghi e parole di solito finiscono, i dialoghi di questo film invece iniziano. Ossia quando vanno più a fondo, così a fondo che, stupiti e turbati, ci chiediamo: Quanto potrà ancora andare a fondo? Le parole di Hamaguchi sono sostanza, musica,materia. All’inizio sembra quasi insignificante: un uomo e una donna; qualche volta due donne, in piedi in una stanza con le pareti bianche. Poi la scena si sposta in avanti, e mentre procede ti accorgi che l’intero universo, incluso te stesso, è li con loro in questa semplice stanza.”

Nella storia del cinema molti sono stati i film con protagonisti insegnanti esemplari e rivoluzionari (come non ricordarne almeno uno, con struggimento: Robin Williams, il professore che tutti abbiamo amato, ne “L’attimo fuggente”?). Tra questi si pone l’interessante documentario tedesco “Herr Bachmann und seine Klasse” (Mr Bachmann and His Class) di Maria Speth. La motivazione per l’Orso d’Argento è in questo caso più che legittima e meritata: “Nel film si può porre l’attenzione su problemi reali con il mettere il dito nella piaga, oppure con il mostrare fiducia e con il dare speranza che un cambiamento in positivo possa verificarsi. La regista di questo documentario teneramente potente ha scelto la seconda strategia. Il film si tiene sempre alla giusta distanza, concentrandosi su uno dei “lavorator sul campo” della nostra società, che è decisivo per gli anni formativi dei nostri ragazzi e influisce sulle loro successive scelte di vita. La regista rappresenta questo docente nella sua straordinarietà: egli ridisegna un sistema in crisi – il nostro sistema scolastico europeo -, lo alleggerisce e lo rende più umano e questa umanizzazione lo rende molto più efficace. Il film mostra quanto avanti si possa andare solo basandosi su rispetto, scambio aperto e su quella magia che tutti i grandi inseganti possiedono: essi sanno accendere il fuoco della passione nei loro allievi e attivano la loro fantasia.”

Altri orsi d’argento più che meritati: per la miglior regia a “Természetes fény “ (Natural Light) un ottimo film sulla crudele logica della guerra, dell’ungherese Dénes Nagy (“Girato in modo incredibilmente bello, innagini ipnotizzanti, una regia notevole e un magistrale controllo di ogni aspetto delle potenzialità della regia, una narrazione che trascende il suo contesto storico. Un ritratto di guerra nel quale  lo sguardo attento del regista ci ricorda una volta di più quanto sia necessario saper scegliere tra la passività e l’assunzione di responsabilità individuale.”).

Alla direzione artistica di “Una película de policías” (A Cop Movie) del messicano Alonso Ruizpalacios , interessante mokumentary sulla difficoltà di essere donna e di essere poliziotta nella tentacolare e machista Città del Messico. Questo film ottiene l’Orso d’Argento per l’eccezionale contributo artistico “alla magistrale idea di un lavoro di cinema audace e innovativo che abbatte i confini tra finzione e realtà e esplora coraggiosamente la capacità del linguaggio cinematografico di modificare la nostra visione del mondo. Il montaggio gioca un ruolo essenziale nel supportare la visionarietà straordinaria del regista: esso infatti decostruisce abilmente i molteplici piani del reale e del linguaggio per offrire uno sguardo profondo e attentamente provocatorio in una delle istituzione più controverse del Messico.”).

Altro Orso d’Argento per lo stravagante film “Rengeteg – mindenhol látlak” (Forest – I See You Everywhere) di nuovo una pellicola pellicola ungherese, per la regia di Bence Fliegauf. Il premio è rivolto all’attrice non protagonista Lilla Kizlinger: “Tra le molte straordinarie rappresentazioni  miniaturali di Forest – I See You Everywhere una in particolare la troviamo particolarmente forte e memorabile. Lilla Kizlinger porta sulle sue giovani spalle, con grazia e una ben studiata luminosità naturale, una responsabilità speciale. Grazie alla potenza della sua sola interpretazione, della sua presenza intensa, lei  porta alla superficie gli strati profondi della scena, definendo efficacemente i  motivi dietro al film: la raggelante minaccia del mondo, che i bambini di oggi ereditano da noi adulti. Invece di raccontare, spiegare, lei svolge il ben più difficile ruolo di far crescere in noi il bisogno di riflettere sui tormentosi e inquietanti problemi del nostro presente. Lei ci ha affascinati e attraverso la fascinazione ci ha fotto pensare.”.

Per la miglior sceneggiatura l’argento è stato assegnato, ancora una volta in modo inspiegabile, al sudcoreano Hong Sangsoo per il film Inteurodeoksyeon (Introduction). Inspiegabile anche la motivazione: “Più che raccontare una storia o presentare una narrazione con efficacia, questa sceneggiatura crea quei momentanei intervalli tra una azione e l’altra dove, per un istante, una verità nascosta della vita umana viene inaspettatamente rivelata chiara e limpida.“.