Ogni anno l’Accademia delle Belle Arti di Praga organizza degli esami di ammissione che hanno molto poco di tradizionale, come è giusto che sia per un’istituzione dove talento, originalità e capacità di pensare fuori dagli schemi devono essere considerati come elementi fondamentali. Vediamo dunque come la “meglio gioventù” artistica della Repubblica Ceca si industria per farsi notare da artisti e critici d’arte affermati, andando spesso e volentieri oltre i limiti della propria comfort zone.

La trentenne documentarista ceca Adela Komrzy ci aveva positivamente impressionato l’anno scorso, quando aveva presentato, sempre al festival di Karlovy Vary, il suo Intensive Life Unit, documentario delicato e tutt’altro che voyeuristico su un reparto ceco di malati terminali in cui vengono applicati nuovi metodi psicologici per promuovere un approccio non distruttivo alla pur inevitabile realtà della morte. Qui decide di fare squadra con il collega un po’ più anziano ed esperto Tomas Bojar per cambiare decisamente toni ed atmosfere.

Dalla morte si passa infatti alla creazione, colorata, barocca, eccessiva, allegra, magmatica, così come è realizzata da uno stuolo di giovani e giovanissimi artisti in erba che provano il grande passo dell’esame d’ingresso all’Accademia delle Belle Arti di Praga, ovviamente una delle istituzioni di riferimento assoluto nel paese. La Komrzy e Bojar si sdoppiano dunque, dividendosi i gruppi da seguire, indagando le varie metodologie investigative dei docenti dei vari atelier, ma senza per questo dare mai l’impressione di un film sfocato o bicefalo. Il collante che tiene insieme gli esami di disegno, pittura o nuove tecniche digitali sono le energie e le insicurezze di ragazze e ragazzi che vengono testati anche sulla propria convinzione di svolgere una ipotetica “missione”, piuttosto che sulle loro mere capacità artistiche.

La regista era stata interpellata per celebrare un importante anniversario della scuola, ma ha poi deciso di focalizzarsi su questo evento “eccezionale”, di cornice, piuttosto che sulla semplice esaltazione rievocativa della sua storia. Diremmo che il fine di dimostrarne vitalità e funzionalità è stato così raggiunto con molta maggiore sicurezza e levità che se la Komrzy si fosse invece impantanata in una polverosa lode dei tempi andati. Qui i due colleghi lavorano un po’ come le coppie di professori dei vari atelier: interrogano i ragazzi senza preventive certezze, ne indagano dubbi e buffe convinzioni, ne scoprono il tocco più o meno evidente di sregolatezza che potrebbe forse un giorno farli maturare in artisti originali. Le questioni affrontate durante le numerose prove d’esame sono numerose: il fine che ci si pone è quello di diventare famosi, “vendibili”? Cosa ci spinge a creare nuove opere d’arte? È possibile perseguire una propria strada senza aver studiato i grandi maestri che ci hanno preceduti?

Tutti questi interrogativi si alternano al centro dell’attenzione filmica, in generale senza mai cadere in eccessiva prosopopea, ma senza neanche sminuirne l’importanza con toni di sarcasmo o dileggio. L’ironia di fronte a performance un po’ stravaganti dei candidati è lecita, ma se rimanessimo, per contrasto, legati alla visione della donna del popolo qui rappresentata dalla portinaia dell’Accademia (di cui spesso sentiamo commenti su questioni pratiche e umili), l’Accademia potrebbe tranquillamente chiudere bottega. Questo simpatico continuo contrappunto con le opinioni superficialotte (è un po’ omofobe) del personale di servizio mettono in luce la serietà del lavoro richiesto ad un selezionatore di ogni nuova classe annuale: là fuori il popolino avrà comunque spesso reazioni simili a quelle di un Alberto Sordi-Remo Proietti durante le sue “vacanze intelligenti”, ma la forza dell’arte sta anche nel saper sfidare il ridicolo e le convenzioni, senza d’altra parte scadere nel gusto di scandalizzare fine a se stesso.

Il rapporto fra insegnante ed allievo deve essere pacifico o conflittuale? Esiste un mondo fuori dagli atelier cui si deve rendere conto, oppure è l’arena intima di un creatore l’unica bussola di riferimento? Con queste domande poste con intelligenza e cui si cerca di rispondere sulla base di una funzionale pluralità di vedute si chiude forse la sessione più interessante di esami d’ammissione della importante scuola praghese, durante la quale gli stessi docenti e istruttori si sono dovuti sottoporre ad una prova di controllo, ad un ulteriore esame di osservazione dettagliata, che ha probabilmente cambiato anche il loro stesso modo di vedere la propria missione e professione. Una mise en abyme osservazionale/esaminatrice che dà dei frutti non scontati. La Komrzy conferma di essere un nome da seguire nel panorama del documentario ceco.