Con questa Mostra cinematografica la distinzione tra cinema e documentario ha celebrato la sua fusione, in quanto cinema è racconto della realtà. “E’ la realtà – spiega il direttore della manifestazione veneziana Alberto Barbera – a farsi protagonista nelle sue diverse forme”. C’è meno capacità di inventare e una maggiore capacità di rielaborare la realtà , per immergersi in essa e sperimentarne emozioni e sacrifici.
Storie dagli accenti tragici e costruttivi insieme, appassionati o di gelida comunicazione, quotidianità che si fa storia condivisa. Si riflette sul passato come accade in Francofonia, il singolare film di Sokurov in cui l’Arte si eleva a conciliare ideologie avvelenate dall’odio. Si porta alla ribalta il dramma dei bimbi e degli adolescenti come in Beats of no nation (i bambini soldato in Uganda) o il figlioletto privo di amore materno e proiettato in un avvenire – secondo il regista – poco rispettoso della convivenza democratica, nel lavoro di Corbet The Childhood of a Leader.
Con la proiezione del superbo film Rabin, the Last Day di Amos Gitai, si condanna con fermezza un sionismo esasperato e fanatico auspicando l’armonia dei due Stati in quella terra martoriata. Il senso del mistero della montagna : le sfide estreme degli uomini e i suoi pericoli mortali nell’Everest; le grandi tragedie della storia come nel lavoro dell’armeno Atom Egoyan – Rebember – in cui il vecchio Zen è alla ricerca del nazista che gli ha sterminato la famiglia, film di grande umanità e di emozionante suspence. Il film del cinese Liang Zhao Behemoth – invocato dai più per il Leone D’oro – è un immenso faro che illumina il limite dello sfruttamento dell’uomo in nome dell’interesse economico. Un film di rara potenza filmica che si cala nell’inferno del tormentato lavoro dei minatori e del loro respiro minato dai veleni delle polveri tossiche. Crimini e vendette, amore e perdono si susseguono in altri film.
In molti lavori si assiste al meditato protagonismo del femminile come in Looking for Grace di Sue Brooks nel quale lo studio psicologico focalizza il dramma di due sposi nei riguardi della problematicità della figlia; nello splendido ritratto dostojewskiano di Marguerite di Xavier Giannoli, il candore irrazionale, l’immolazione amorosa si fondono nell’armonia del canto; negli interrogativi che fermentano nelle donne di A Bigger Splash – il film di Guadagnino – di fronte a vuote ed egoistiche esperienze sfociate nella tragedia; la scioccante e sofferta vicenda di Lili in The Danish girl di Hooper nel suo percorso verso l’identità di genere; il lento duetto femminile con la morte nell’Attesa del film di Messina.
Per la prima volta alla Mostra di Venezia viene proiettato un film realizzato anch’esso per la prima volta a Città del Vaticano con il titolo L’esercito più piccolo del mondo del regista Gianfranco Pannone: è una serie di immagini felici, vitali e colorate di una esuberanza esistenziale affidate a domande e risposte da parte dei soldati pontifici che indossano oggi un abito immutabile da 500 anni. E’ l’occhio delle guardie che abbraccia vita, costumi e impressioni della vita animata del piccolo Stato da salvaguardare. Una delle giovani reclute confida che faceva il guardaboschi in territorio svizzero e ora è felice di fare tale esperienza nella Città del Papa che “cammina da solo verso una porta, monta in auto dalla parte del passeggero con una confidenza inimmaginabile fino a qualche tempo fa; è facile, abitando Egli a Santa Marta, incrociarlo e quando succede è un aneddoto da raccontare a casa. Un’altra recluta è più audace: ”le ragazze fingono di darmi un bacio quando monto di guardia…”. L’importanza del lavoro di Pannone consiste nel porgerci un mondo vitale dentro una cornice fondata su tradizioni antiche.
Riguardo ai nostri registi si credeva vivamente in un nostro riscatto dopo le amarezze di Cannes: si riscontra invece poca ispirazione nonostante il ricco cast di interpreti soprattutto al femminile. Ha iniziato Pietro Messina con L’Attesa: è riuscito a immortalare la natura della Sicilia con le sue luci e le sue aspre bellezze ,con un commento musicale personalissimo, ma la eccessiva lentezza delle scene in una atmosfera irreale e per niente mosse dal linguaggio della narrazione in inquadrature fisse e noiose, toglie nerbo e vitalità al lavoro nonostante la notevole interpretazione della Binoche.
La delicata fragilità di Dakota Johnson e il ballo dalla vibrante musicalità di Ralph Fiennes non sono sufficienti a salvare A Bigger Splash di Luca Guadagnino: una storia di irritanti dispetti di incomunicabilità, di tradimenti, di pesante edonismo animalesco con tragedia finale in una vacanza nell’isola di Pantelleria, ferita dallo smarrimento dei profughi. Certo il regista riesce a trasmettere questa atmosfera di decadenza oscena e narcisistica ma nella foga del racconto incappa nel vuoto dell’emotività e nella dimensione del ridicolo.
L’attesissimo Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio narra di Federico – siamo nel 600 – giovane soldato, sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta condannata ad essere murata viva. Nello stesso luogo, nelle antiche prigioni di Bobbio, secoli dopo, tornerà un altro Federico che scoprirà essere le prigioni abitate da un misterioso conte che vive solo di notte. Il regista mette al confronto due mondi distanti, ma animati da corruzioni. Se nella prima il male è personificato da una suora che seduce un giovane e ne mette a repentaglio la salvezza morale e fisica, nel secondo la corruzione impera gabbando l’INPS, il Fisco e la vendita delle prigioni mediante imbroglio.
Nel 600 il potere era in mano della Chiesa cui ci si poteva opporre, oggi il potere ha corrotto tutti per basse questioni opportunistiche. “Il potere – spiega Bellocchio – mi dà sempre fastidio. Con questo Papa poi più a sinistra della sinistra, non mi viene più naturale parlar male della Chiesa, anche se non ne condivido certi principii”. La critica accoglie con entusiasmo questo film che solleva la sorte del cinema italiano al Lido. Certo il lavoro è ammirevole nella prima parte per la scorrevolezza del montaggio, del sonoro e per il raffinato gioco delle luci e ombre, anche se lasciano desiderare i dialoghi mossi da un fanatismo estremizzato e da desuete polemiche di ironia anticlericale. Non persuade poi la suora eroina presentata come una nuda statuina pietrificata di adolescente piuttosto che come una persona ricca di irresistibili seduzioni. Nella seconda parte la tensione si incrina in forzature e stereotipi.
La Napoli di Giuseppe Gaudino irrompe sullo schermo del Lido con forza visionaria, immaginifica. Il film Per amor vostro è ricco di una umanità indifesa e di un solido impianto narrativo. La perfetta interpretazione di Valeria Golino – meritato per lei il Premio Volpi per la migliore interpretazione femminile – rafforza questo lavoro dai ricchi spunti sperimentali e simbolici con momenti di alta sensibilità tra figli e madre, assunta quest’ultima a icona dell’amore incondizionato in una Napoli fotografata tra il kish e il barocco.
In tutti i Festival Cinematografici del Lido va in scena la vita in ogni sua forma e implicazioni: è pure il Festival delle vanità con i suoi divi e dive, le fastose cene lungo la spiaggia dell’Excelsior e nelle sale dei palazzi patrizi di Venezia e isole della laguna. Quest’anno il tappeto rosso è stato animato per la gioia degli adolescenti e delle adolescenti in attesa fin dall’alba dei loro divi e del loro sognato autografo: ha rubato la scena il grande Johnny Depp seguito dalla nutrita schiera delle Tilda Swinton, di Robin Wright, Keira Knightley, Emily Watson, Jennifer Jasin Leigh e le nostre Valeria Marini, Maria Grazia Cucinotta, Serena Rossi e l’intramontabile Vasco Rossi, incantatore delle adolescenti.
I grandi candidati al Leone d’oro erano altri, tra cui Francofonia, Remenber, 11 minuti, Behemoth. Invece il lavoro di Lorenzo Vigas Desde Allà è una sorpresa sia per la scabrosa tematica, sia per la tiepida reazione della critica e del pubblico. Il protagonista Armando soffre di un vuoto affettivo dovuto a un trauma giovanile e lo risolve adescando in maniera originale i ragazzi, limitandosi però a osservarli da lontano. Questo regista – esordiente – Lorenzo Vigas resuscita momenti di emozioni pasoliniane in una atmosfera asettica, rotta infine nella relazione affettiva e burrascosa tra il protagonista e un bullo di quartiere (Elder) che si pavoneggia tra i coetanei mediante violenza e vendette. Un racconto fuori dagli schemi nel suo complicato intreccio psicologico che alterna attenzioni a conflitti vendicativi che impoveriscono il rapporto. Il tocco artistico del film non si eleva di tanto.
Quasi meritato il “Leone d’Argento” al regista Pablo Trapero con il suo El Clan. Siamo negli anni della dittatura militare argentina tra il 1976 e il 1983 con tre mila desaparecidos torturati e uccisi. In questo periodo un capo dei servizi segreti, il terribile Puccio, con il suo clan famigliare approfitta della sia immunità perché coperto da protezioni governative per compiere rapimenti, violenze e omicidi finalizzati a lucro rilevante. Il ritorno alla democrazia farà giustizia. E’ un lavoro filmico girato in maniera di una ganster story alla Bonny e Clide, con esuberenza e incisività d’azione, obnubilata alquanto da un attendismo eccessivo. Comunque non dice nulla di nuovo. Di valido sono le interpretazioni dei protagonisti e lo spontaneo rigetto di ogni dittatura con le sue violenze e corruzioni.
La dirompente recitazione di Fabrice Luchini si merita la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile nel film di Christian Vincente L’Hermine. Finalmente si premia un francese che nella parte di un giudice severissimo e abile nel lessico si innamora del bel volto di Sisde. Da questa trasformazione esce l’abilissimo adattamento linguistico e psichico di Luchini in situazioni del tutto diverse.
Il film Beats of No Nation di Cary Joji Fukunaga – già citato sopra – meritava un premio consistente. Ha avuto invece un premio indiretto : ”Il Premio Mastroianni” a un giovane attore emergente che si é fatto valere. E’ andato al protagonista del film: il giovane Abraham Attah. Le espressioni del suo volto sono quanto mai adattabili alle molteplici circostanze del dramma e della tragedia cantate mirabilmente nel film. Gli auguriamo una carriera degna del suo umanissimo messaggio per il quale si è fatto portatore.
Anche il premio “Venezia Opera Prima – Luigi De Laurentiis” è ben meritato, proiettato nel settore “Orizzonti”: The Childhood of Leader di Brady Corbet. Fa riemergere le laboriose e pure opportunistiche trattative diplomatiche nel lontano Trattato di Versailles che imposero umilianti imposizioni alla Germania e poca soddisfazione per l’Italia. Comunque le gesta dei diplomatici sono accennate di riflesso dal padre del piccolo figlio ribelle, depauperato dall’affetto materno troppo invadente e immensamente freddo. Un film dalle note delicate e militaresche insieme, lavoro che indaga nelle pieghe dell’ufficialità diplomatica, sulle sue fragilità e sulle sue presunzioni.